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"Tutta la verità. Ma obliqua. Intraducibile Emily Dickinson, se non con nuove figure, nuove immagini, una nuova storia. È quello che fa Elena Varvello con "Solo un ragazzo", che a sua volta è la risposta semplice e assoluta a una domanda che urge per tutto il libro: «Che cosa sei?» È ciò che chiedono i padri e che soffrono le madri di fronte all'enigma dell'adolescenza. Un'età che fugge e sfugge, un'età malvagia e innocente, che conserva e spreca: l'età della contaminazione. C'è un ragazzo, solo un ragazzo, al centro di questo libro, che rifiuta e rifiuta e basta. Commette infrazioni via via più importanti che travolgono senza possibilità di scampo chi gli sta intorno e tenta una vita accettabile, nella normalità: la madre, il padre, le sorelle fra loro così diverse, e i suoi possibili, incerti avatar. Il ragazzo è dappertutto e quindi in nessun luogo, è «un'ombra, un dubbio, una storia che passa di bocca in bocca». È una specie di ready-made della vita, una cosa comune, quasi banale, che però modifica con la sua sola presenza tutta la realtà che gli gira intorno. Costruisce un rifugio nel bosco con i rifiuti del mondo accettato, ruba, sì, ma cose da nulla, minaccia, e forse uccide, di certo ne muore. In lui la vita batte oltre il ritmo normale. In lui la vita comanda. Non ha bisogno di una logica di cause ed effetti. Appare e si dà. E noi lettori, come i personaggi di questa storia, siamo dei bricoleur dell'impossibile: ci arrabbiamo, ci impegniamo, amiamo, perdoniamo, piangiamo senza però troppo influire sulla forza di gravità esistenziale che ci muove e che muove tutto il libro di Elena Varvello. È una forza che ci attrae dentro ogni pagina, che ci fa diventare volta per volta tutti i personaggi, che ce li fa capire, che ce li fa raddoppiare dentro la nostra sensibilità. Per incantesimo". (Ernesto Franco)
A volte, quando penso alle persone e alle cose, penso ad un colore: questo libro ha il colore della sua sovraccoperta, è melmoso, opalescente. Ha le caratteristiche di un sogno: va avanti, torna indietro nel tempo; lo guardi da fuori, ma ci sei dentro, nella sua angoscia; non lo afferri mai del tutto. C'è la provincia dentro, la solitudine, i sussurri, il sentirsi altro, il volersi distinguere, il desiderio di scomparire, la voglia di scappare. E una famiglia, come tante, nella quale ognuno pensa di poter decifrare l'altro solo perché lo ama. Ma c'è il ragazzo, che è solo un ragazzo, che è non sa neanche lui chi è, e allora come può spiegarlo agli altri? A chi lo ha visto nuotare da piccolo? A chi ha fiducia nell'azzurro limpido dei suoi occhi? Lui, che nessuno chiama mai per nome, è troppe cose affastellate, che a loro volta non hanno un nome. Una cosa, una sola cosa è chiara, è permanente, immutabile. -Che cosa sei?- gli chiese. - Tuo figlio. Ma questo non basta, finché non sai qual è il tuo nome.